Allo stesso modo sostenere, come alcuni sostengono o hanno
scritto, che il “Carnevale di Tempio non ha una valenza etnica
che la tradizione riconosce solo ad alcuni carnevali di
particolari località dell’isola, come Bosa, Mamoiada e
Oristano…” senza cogliere ciò che effettivamente avviene nel
Carnevale di Tempio, è davvero indice di superficialità in
merito all’argomento.
Nessuno nega l’originalità e la bellezza del carnevale di altre
località. Anzi a loro va rivolto gran rispetto, per il modo con
cui lo organizzano riproponendo riti, miti e personaggi arcaici.
L’estrosità dei carnevali dei comuni del centro Sardegna, però,
non annulla la qualità storico-culturale e l’originalità del
“Carnevale Tempiese”. Questo, grazie alla sua sperimentata
capacità di trovare il giusto equilibrio tra il “moderno e
l’antico”, si dimostra vivo e dinamico, perfettamente conscio
delle proprie azioni e, soprattutto, capace di rispondere nel
migliore dei modi possibili alle richieste d’innovazione, nel
rispetto della tradizione, che giungono dalla società sempre in
evoluzione.
Chi assiste alla “Sfilata del carnevale” organizzata a Tempio sa
che non si trova di fronte al solito stereotipo o a una
manifestazione che si ripete sempre uguale a se stessa, ma sa di
assistere a qualcosa di innovativo, a qualcosa di diverso ed
accattivante, senza per questo stravolgere la vera natura del
carnevale, che affonda le sue radici nei secoli lontani della
civiltà dell’uomo.
La
bellezza del Carnevale di Tempio, dunque, si pone
proprio nel suo modo di essere, nello stesso
momento, “moderno e antico”, “trasgressivo e
morigerato”, “scanzonato e riflessivo”. Una
straordinaria miscela di combinazioni che coniugano
la maschera estemporanea- utilizzata da coloro che
si muovono in situazioni di libertà- con la maschera
organizzata, quella che partecipa ufficialmente alla
“grande sfilata dei carri” avvalendosi di una
allegoria (come l’essenza stessa del carnevale
pretende), perché da sempre il carnevale è
“ribaltamento dei ruoli” e, nello stesso tempo,
“acuta ironia volta alla critica del potere
costituito o alla messa in berlina delle persone che
si atteggiano oltre il dovuto”, ma anche satira
sulle “mode” del momento: politica, sport, musiche,
film, cartoni animati, ecc.I noltre, l’antico ed il
tradizionale, ancora presente nel carnevale di
Tempio, ha dei riferimenti storici ben precisi, sia
per quanto riferito alla cura della maschera
femminile – la mascara bedda-, come testimoniano
alcuni scritti del secolo XVIII e, in modo
particolare, la poesia di Don Baignu Pes
(1724-1795), sia in relazione all’atavica
manifestazione delle maschere popolari –mascara
brutta o normali- che hanno come riferimento
figurativo le anime dei defunti, come la “reula” o
“lu linzolu cupaltatu”, o le anime degli spiriti
maligni, come lu dominu e lu traicoggju, chiari riferimenti al periodo
precristiano della storia dell’uomo che, con riti apotropaici,
vengono rappresentati al fine di dominarli e piegarli quasi al
proprio servizio.
L’importanza del carnevale per i Tempiesi e per gli
abitanti dei comuni limitrofi è dimostrata anche da
una “difesa”, scritta nel 1848, “contro le calunnie
dei retrogradi” indignati per la promulgazione della
Costituzione e per i festeggiamenti a suo favore
promossi dai “giovani libertari della Gallura”. In
questo opuscolo, fra l’altro, si legge: « La sera di
27 febbraio furono letti quattro discorsi (in
riferimento alla Costituzione Albertina), e il
Popolo affollato si partì contento di sé, e degli
oratori, come la sera del 24 dello stesso mese in
cui si diede principio a tali letture.
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Si mandò tosto al Vescovo di
Tempio, Monsignore Don Diego Capace, una deputazione, onde
pregarlo di permettere alla Società (dei giovani libertari) di
poter dare un Triduo nella Chiesa dei R.R. P.P. Scolopi per
ringraziare a Dio dell’immenso beneficio ricevuto, e spiegare al
Popolo nel dialetto tempiese, in che consisteva il beneficio
(costituzionale), e che doveva egli adoperare, perché fiorisse
presto e fruttuasse alla Gallura. Il buon vescovo non negò
apertamente, ma non permise ne pure che il Triduo si facesse.
Disse che questi giorni di carnevale erano giorni di allegrezza,
e che nei tre ultimi, i quali precedevano la quaresima vi erano
funzioni nella Chiesa madre, che non dovevano essere turbate da
altre funzioni in chiese filiali…». In questa nota il reale
senso del valore e del rispetto che merita il carnevale… e il
popolo in festa.
Non solo maschere, però, al carnevale di Tempio, o assemblee
danzanti, ma anche una colorata cornice di “carri allegorici”
che fanno mostra si sé, allo stesso modo con cui li allestivano
prime civiltà della storia dell’uomo per assolvere alla funzione
di “portare il Re” (a Tempio identificato ieri con Gjogliu
puntogliu e oggi con Re Gjolgliu - Giorgio), al centro della
festa. Un Re preceduto, come prevede l’etichetta, dai suoi
ambasciadori e banditori, con a seguito i cortigiani, i buffoni
di corte e i saltimbanchi mascherati… Oggi come allora, i carri
passano tra due ali di folla plaudente (i sudditi) e danzante
(il popolo in festa) che accoglie questo “dio-re del carnevale”
concedendogli -e concedendosi- per sei giorni ogni licenza… Ma
questo “dio- re” assume anche la veste di “Capro espiatorio” e
come tale destinato al sacrificio per garantire la sopravvivenza
della comunità.
Il nome stesso del Re, simbolo del carnevale, Gjolgiu, rimanda
alla natura. Deriva del greco Gheòrghios e significa
“agricoltore”. La sua condanna riporta agli antichi riti pagani,
quando per ingraziarsi la Natura (Madre Terra) venivano offerti
alla divinità sacrifici umani (speso proprio il figlio del capo
tribù), sostituiti poi con animali ed infine con simboli.
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Un sacrificio propiziatorio, certo, ma per essere davvero in
grado di annullare ogni maledizione che si abbatte sul villaggio
il cerimoniale della festa deve rigorosamente essere portato a
termine secondo le prescrizioni lasciate in eredità dagli avi.
Così, a conclusione dei giorni dedicati al rito (i classici sei
giorni del magico carnevale di Tempio), anche Re Giorgio, dopo
aver goduto, insieme ai suoi sudditi, di alcune licenza morali
muore bruciato… mentre la folla canta, balla e beve gustando in
ogni dimensione l’allegria lasciatagli in eredità.
E mentre il Re ormai fantoccio si trasforma in cenere, i
carrascialai stanno già pensando all’allegoria per il prossimo
anno. Mesi di fatica, denaro e ogni promessa di non ricascarci
più vanno in fumo con il sovrano e questi giovani sono pronti a
ricominciare… Nonostante tutto.
E bisogna vederli all’opera per capire quanta abnegazione ci sia
dietro i loro allestimenti carnascialeschi. Sono giovani che
studiano o lavorano, ma che contemporaneamente, per diversi
mesi, si impegnano fino a notte fonda per far sì che il loro
carro sia all’altezza del proprio ideale, ossia “il più bello di
tutti”. Ed effettivamente ognuno di loro raggiunge lo scopo
prefissato perché la qualità dei carri –prodotti in prevalenza
dai giovani cartapestai di Tempio – migliora di anno in anno,
così come la capacità di esprimere una metafora o una allegoria
mirata. Ora essendo, come più sopra precisato, il Carnevale Tempiese la
sintesi della cultura del territorio, ed essendo la città
riferimento costante per i residenti nei comuni limitrofi, si
può affermare che davvero IL CARNEVALE DI TEMPIO È IL CARNEVALE
DELLA GALLURA. Non a caso coinvolge, per naturale conseguenza,
anche i centri vicini che partecipano alle sfilate con carri e/o
gruppi mascherati. Aggius, Nuchis, Aglientu e Trinità d’Agultu
da diversi anni si sono uniti alla grande festa di fine inverno.
Alcuni carri poi vengono riciclati ed esportati in altri centri
della Gallura e dell’Anglona e, in qualche caso, anche
nell’isola della vicina Corsica per contribuire “fraternamente”
al carnevale di Sartene.
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